Il paziente che soffre di malattia renale cronica, soprattutto se negli stadi più avanzati dalla patologia, riferisce assai sovente un senso di debolezza, di fiacchezza, di stanchezza e di inappetenza, che gli impediscono di compiere attività fisiche che per lui erano normali prima di ammalarsi: ad esempio fare le pulizie di casa, stirare, caricare la lavatrice o la lavapiatti, badare ai figli o ai nipoti, fare la spesa o fare una camminata con le amiche per le donne; effettuare mansioni lavorative fisiche, fare l’orto, badare al giardino, effettuare lavori di manutenzione domestica per gli uomini.

I disturbi che il nefropatico riferisce, che diventano sempre più importanti quanto più la malattia peggiora, sono spesso sottovalutati dal medico a cui vengono riferiti e sovente attribuiti ad ansia e depressione per il proprio stato di salute. Il paziente dal canto suo attribuisce tutta questa spossatezza al fatto che da un po’ di tempo mangia meno, magari anche senza avere nausea, ma perché gli manca semplicemente l’appetito: ciò che prima gli andava, adesso non gli garba più.

Da quel che si può capire questi disturbi non sono vaghi, ma sono ben circostanziati dal paziente; essi assomigliano molto a quelli riferiti da chi soffre, ad esempio, di una sindrome influenzale o comunque di una qualsiasi infezione virale o batterica, solo che in questi casi sono limitati alla durata della malattia (arrivano nel giro di pochi giorni e altrettanto velocemente si dileguano); nel caso del soggetto nefropatico si sviluppano lentamente e subdolamente, quasi che il paziente non noti nulla agli stadi iniziali di malattia, ma persistono e peggiorano, senza apparenti motivi, finche gli esami del sangue non svelano definitivamente e drammaticamente la natura del problema.

I sintomi non sono quindi dovuti ad un semplice stato ansioso-depressivo, ma trovano la loro causa nella natura stessa dell’insufficienza renale, che per definizione è caratterizzata da una carente eliminazione di sostanze tossiche prodotte dal metabolismo degli alimenti che ingeriamo e, in generale, dalle attività metaboliche degli altri organi.

“L’autointossicazione” che così si genera è causa di una non ottimale utilizzazione dell’ossigeno che noi respiriamo, con la generazione dei così detti e ben noti “radicali liberi” (se ne sente tanto parlare anche dai mass media per problemi più banali), a loro volta causa diretta di “stress ossidativo” e di infiammazione, come se il soggetto soffrisse di un’infezione cronica, solo che non vi è alcun germe infettivo.

L’infiammazione causa inappetenza e l’inappetenza dimagramento, solo che a differenza delle diete dimagranti, in cui vi è una percentuale di riduzione di massa grassa e magra tutto sommato comparabili (se ben seguite da uno specialista), nel caso dell’insufficienza renale la perdita di massa corporea riguarda sì i grassi, ma in maggior misura le proteine, che sono i costituenti principali dei muscoli; si viene così a delineare la caratteristica “protein energy wasting syndrome” del soggetto affetto da disfunzione renale.

Ci troviamo così di fronte ad una vera e propria malattia muscolare, altrimenti detta atrofia muscolare uremica, causata da un’ autodigestione delle proteine corporee, che sono le principali componenti del muscolo.

Come si è detto essa è causata innanzitutto dalla stessa malattia renale, ma può essere anche dovuta a diete ipoproteiche inappropriate, o “fai da te”, effettuate senza l’ausilio di un nutrizionista.

La distrofia muscolare del paziente nefropatico causa disturbi molto invalidanti, che dalla debolezza possono arrivare anche alla inattività fisica e alla sedentarietà. Tutto questo ha risvolti indubbiamente negativi sulla qualità di vita percepita dal paziente, con conseguenze spesso invalidanti, anche dal punto di vista psicologico e psicosociale.

Infatti soventemente il paziente riferisce disturbi d’ansia e depressione, che sfociano in ultimo nell’autoemarginazione dalla vita sociale, in una riduzione della resa lavorativa, nella perdita del lavoro e nell’isolamento.

Ma non si tratta solo conseguenze di natura interiore, lavorativa e sociale; la malnutrizione proteica ha soprattutto implicazioni fisiche di salute.

Non bisogna infatti dimenticare che le cause più frequenti di insufficienza renale sono il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e in generale le patologie cardiovascolari; non stupisce quindi come una vita sedentaria, avendo come risvolto un difficile controllo della pressione arteriosa, elevate glicemie ed un rialzo del colesterolo, tutti fattori che a loro volta implicano un peggioramento del rischio cardiovascolare, esiti in ultimo in un evento altamente invalidante e spesso mortale come un infarto miocardico o cerebrale e in un peggioramento ulteriore della funzione renale, anche sino alla dialisi.

L’avere una buona massa muscolare implica quindi per il paziente nefropatico non solo una miglior qualità di vita in termini di una maggior sensazione di benessere, una maggior tolleranza agli sforzi fisici e una vita sociale e lavorativa più attive e gratificanti, ma anche una minor esposizione a rischio di avere eventi cardiovascolari e al rallentamento della progressione della malattia renale verso la dialisi.

Come migliorare la massa muscolare del paziente nefropatico, o meglio, come correggere il catabolismo proteico/muscolare di questi pazienti?

DUE SONO GLI STRUMENTI: DIETA E ESERCIZIO FISICO

La dieta, che deve sì essere ipoproteica o a contenuto proteico controllato, ma deve anche contemplare un’assunzione di calorie adeguata, al fine di mantenere trofica la massa muscolare del paziente; in altre parole deve essere una dieta “anabolica”, non “catabolica”. Una dieta ipoproteica ma con apporto di calorie non adeguato può solo esitare in un dimagramento o “catabolismo” eccessivo, con il risultato di ritrovarsi in uno stato di cachessia, soprattutto in un soggetto anziano. Ecco perché se si inzia una dieta di questo tipo è obbligatorio il supporto di un dietista: il rischio di una dieta non controllata potrebbe essere quello di accelerare la progressione della malattia renale, non di rallentarla.

Il secondo strumento è fuori di dubbio l’esercizio fisico; esso ha un vero e proprio effetto anabolizzante sul muscolo, nel senso che le calorie ingerite, che poche che siano, vengono correttamente indirizzate alla sintesi di proteine muscolari. Diverse esperienze cliniche dimostrano come l’esercizio fisico nel paziente nefropatico, e anche in dialisi, aumenta significativamente la massa muscolare e la forza muscolare, con risvolti positivi sulla qualità di vita del soggetto, ma anche sul rischio cardiovasoclare. Esso non va pensato come un’attività di training sportivo estenuante, o “da palestra”, o cosidetta “anaerobica”, basta fare un’attività fisica lieve/moderata, “aerobica”, tutti i giorni o anche qualche giorno alla settimana, come una passeggiata, anche di 15-20 minuti al giorno, ma costantemente: l’importante è che quest’attività diventi un’abitudine, non importa dove viene fatta.

Anche i soggetti più anziani possono giovarsene, con l’aiuto di un fisioterapista o di un trainer, basta che siano in grado di camminare anche pochi metri. Se impossibilitati ad uscire di casa perché affetti da una ipotonia muscolare importante, questa può essere migliorata con l’aiuto di una banale cyclette da camera, utilizzata 15-20 minuti tutti i giorni o qualche giorno alla settimana.

In chi invece non è proprio in grado di camminare, in quanto affetto da patologie neurologiche o muscolo-scheletriche invalidanti, il recupero del tono muscolare può comunque essere ottenuto con miglioramenti significativi sulla mobilità con una fisioterapia passiva, al letto o da seduti, sempre però in questo caso con l’aiuto di un fisioterapista o di un esperto di scienze motorie.

Questi esercizi consistono in movimenti effettuati con una resistenza graduata opposta dallo stesso fisioterapista:

  • flesso-estensione e rotazione del capo, del tronco, delle spalle, delle anche, dei gomiti, delle ginocchia, dei polsi e delle caviglie
  • possono essere effettuati anche utilizzando delle bende elastiche o dei manubri in caso di esercizi di adduzione e abduzione degli arti inferiori e degli arti superiori
  • possono usati dei pesi applicati alle caviglie o ai polsi per effettuare movimenti di flesso-estensione delle spalle , dei gomiti, delle anche e delle ginocchia
  • la cylette può essere effettuata anche a letto, da sdraiati, con una cyclette da letto

Qualunque esercizio si faccia l’importante è ricordarsi di non raggiungere mai l’affaticamento, per il rischio di crampi e dolori muscolari durante gli esercizi, ma soprattutto per evitare di arrivare troppo stanchi alla seduta del giorno o dei giorni successivi: il muscolo ha bisogno di un suo tempo di recupero, tanto più lungo quanto più l’esercizio è stato estenuante. In altre parole anche qui vale la regola di un’attività fisica non intensa, ma costante: serve per migliorare lo stato di salute e il benessere soggettivo del paziente, non serve a farlo diventare un atleta.

Qualche paziente potrebbe dire “non ho tempo” o “non ho voglia” etc… , è comprensibile! Infatti il numero di soggetti che abbandonano il training fisico è elevato nell’esperienza clinica. L’importante è convincersi, se si tiene a se stessi in termini di salute fisica, che non è solo una questione “estetica” di benessere psichico, come erroneamente potrebbe essere intesa una dieta dimagrante; come la dieta ipoproteica è una vera e propria terapia che condiziona positivamente lo stato fisico di salute e come tale va interpretato.

Anche se attualmente c’è ancora controversia tra gli esperti su quando, come, dove e quanto e quale tipo di esercizio fisico sia indicato, l’importate è che il paziente si eserciti, anche poco….ma costantemente.